Perché non vendo?

Ma perché non vendo? Ecco perché – Sull’importanza della personalità e della relazione per aumentare le vendite

Eccola lì, l’eterna domanda: “Ma perché non vendo?“. “E perché dovresti?” è la risposta più naturale che si possa dare. “Perché il mio prodotto è ottimo!” ribatte il coscenzioso produttore di qualsiasi cosa, che mette nei suoi prodotti solo le migliori materie prime e è pronto a giurare sull’efficacia dei suoi prodotti. “E chi se ne frega!” risponde a gran voce il consumatore medio. Chiedere all’oste se il vino è buono non è più una strategia di acquisto per nessuno e, di conseguenza, urlare a gran voce che hai un ottimo prodotto e spergiurare sulla coscienziosità con cui il prodotto è realizzato non porta più a nulla. Non ti crede più nessuno. E perché non ti crede più nessuno? Il buon Bill Bernbach lo sapeva:

“La verità non può essere tale fino a quando la gente non crede effettivamente in te. E non può credere in te se non sa ciò che stai dicendo. E non sa ciò che stai dicendo se non ti ascolta. E certo non ti ascolterà se non riuscirai a essere interessante. E non sarai interessante finché non dirai le cose con fantasia, originalità e freschezza”
Bill Bernbach

Detto in altre parole, hai due possibilità:

  1. Il tuo prodotto è così straordinario che non hai bisogno di fare nulla, solo con il passaparola le tue vendite aumentano a vista d’occhio e riesce a farsi conoscere a un gran numero di persone.
  2. Hai bisogno di personalità, di distinguere il tuo prodotto da tutti gli altri prodotti identici al tuo (o comunque percepiti come identici) o, peggio ancora, percepiti come migliori del tuo.

Ora, siamo sinceri: le persone o le aziende che hanno in mano un prodotto che rientra nella possibilità numero uno sono veramente pochissime. Se tu o la tua azienda vi riconoscete in questa descrizione spegni il computer e vai a fatturare, qui stai perdendo tempo. Se invece, come la maggior parte delle aziende, hai per le mani un prodotto in cui credi, che ritieni valido ma che non vende come vorresti, allora prova a uscire per un attimo dai panni di chi quel prodotto (o quel servizio) lo ha creato e lo vende e chiediti: “Perché qualcuno dovrebbe voler comprare il mio prodotto (o servizio)?“.

E qui riprendiamo dalla domanda iniziale, ma seguitemi perché ora vi riporto una serie di botta e risposta che forse possono darvi una mano a chiarirvi le idee.

Domanda: “Perché qualcuno dovrebbe voler comprare il tuo prodotto o servizio?”
Produttore/Venditore: “Perché è un buon prodotto!”
Domanda: “Conosci qualcuno che afferma che i suoi prodotti sono pessimi?”
Produttore/Venditore: “Ehmm…no. Ma io dico la verità! Chi prova il mio prodotto poi ne capisce la qualità e torna a comprarlo”
Domanda: “Posto che anche la quantità di clienti fidelizzati andrebbe misurata prima di fare certe affermazioni, se siamo qui a parlarne è perché tu hai un problema che arriva prima del momento in cui il tuo cliente prova il tuo prodotto. Il tuo problema ora è convincerlo a provarlo! O almeno a considerare l’idea di acquistarlo. Giusto?”
Produttore/Venditore: “Giusto. Ma se la qualità del mio prodotto non è sufficiente, come faccio a vendere?”

La risposta a questa domanda, mio caro, sta nella personalità. Bisogna avere PER-SO-NA-LI-TÀ. Bisogna, in altri termini, essere unici e riuscire a comunicare la propria unicità. Per fare questo, però, occorre che ci si rassegni: chi ha personalità non piace a tutti, anzi. Ti ameranno o ti odieranno, ma almeno smetteranno di ignorarti. Perderai una fetta di clienti potenziali, ma ne guadagnerai altri che apprezzeranno la tua personalità e condivideranno la tua visione del mondo.

Solo dopo che avrai ben definito la tua personalità potrai pensare a cose come una pagina Facebook, la pubblicità su AdWords e ogni altro genere di pubblicità, offerta o campagna. In caso contrario, la pubblicità è perfettamente inutile, credimi. Gli Ads su Faceboook o su Google Ads non fanno miracoli, non basta pagare. Dietro ci deve essere un lavoro sul brand e sulla sua personalità, sulla sua unicità, sull’emozione.

E qui urgono alcune doverose precisazioni.

Prima di tutto, che sia chiaro: per distinguersi non basta dire di essere diversi. Per essere unici non basta dire di essere unici. Ancora più in là. Per distinguersi non bisogna dire di essere diversi. Per essere unici non bisogna di essere unici. Io non ho mai conosciuto nessuno che fosse davvero unico e diverso che se na va in giro a dire: “Io sono diverso dagli altri, come me non c’è nessuno”. Quello status lì è uno status che ti guadagni, che gli altri ti riconoscono. È una medaglia che ci si guadagna e che non ci si può fabbricare in casa. Dimostramelo che sei unico e diverso: se è vero, me ne accorgo da solo.

Secondo elemento importante: avere una personalità vuol dire saper emozionare. Avete presente l’ormai arcinota consumer journey? Awareness – Interest – Consideration – Purchase – Loyalty. È il percorso che fa un potenziale cliente dal momento in cui viene a sapere dell’esistenza di un prodotto fino a quando ne diventa un consumatore fidelizzato. Ora, sul primo punto, quello dell’awareness, del far sapere che esistiamo, entrano in gioco moltissimi strumenti: dal sito web alla pubblicità su AdWords e Facebook. Ma è sul secondo passaggio che mi voglio concentrare: quello relativo all’interesse. Io posso far sapere a tutto il mondo che esisto, ma se non suscito l’interesse di nessuno, se non emoziono nessuno, si dimenticheranno di me in un secondo. Sarà poi nel terzo step, quello relativo alla considerazione, in cui io potrò mettere in campo tutte le motivazioni più razionali per cui il mio prodotto è buono, anzi migliore degli altri. Prima, però, devi fare in modo di suscitare il mio interesse.

Infine, un’ultima importante nota. Quando parlo di emozionare intendo soprattutto “entrare in relazione”. Mi spiego meglio: io posso essere davvero molto affascinata dalla storia che mi racconti a proposito del tuo prodotto, mi può emozionare, la posso trovare commovente/divertente/esaltante e tutte le altre cose che finiscono in “ente” e “ante” che vi vengono in mente. Se l’emozione che mi susciti è piacevole ma non entra in relazione con me, non comprerò comunque il tuo prodotto. Il trucco è quindi quello di conoscere bene il proprio potenziale cliente (il proprio target, per utilizzare una di quelle parole inglesi di cui è pieno il mio mestiere) per riuscire non solo a suscitare in lui un’emozione ma soprattutto per suscitare in lui un’emozione che lo rappresenti, per coinvolgerlo, per diventare per lui un simbolo di valori in cui crede.

Provo a spiegarlo con un esempio: Mr. Wonderful. Se non lo conoscete vi basterà una semplice ricerca con papà Google per scoprire di cosa parlo. Preciso che non ho nulla a che fare con il marchio e non ho alcun interesse economico nel segnalarlo. Cosa vende Mr. Wonderful? Prodotti di cartoleria, oggettistica, idee regalo. Sono di qualità? Forse si, forse no. Ma il punto qui è che non me ne frega niente! Sullo shop online di Mr. Wonderful trovo anche ombrelli, power charge portatili per ricaricare i cellulari, candele. Sono prodotti migliori di quelli che potrei trovare da un mastro artigiano che crea ombrelli a mano, da un rivenditore di prodotti altamente tecnologici o da una artigiana che crea candele a mano con la migliore cera sul mercato? Forse si, forse no. Non è questo il punto! Non me lo domando nemmeno. Perché? Perché quei prodotti hanno personalità, esprimono una visione del mondo e quella visione entra in relazione con la mia, di visione. La pucciosità, lo stile, le frasi empowering, sono qualcosa che mi piace, sono affermazioni di stile che posso avere il desiderio di fare mie. Ora, non so voi, ma la prima volta che mi sono capitati davanti i prodotti  Mr. Wonderful ho provato l’impulso irresistibile di svaligiare lo shop online. Piaceranno a tutti? Certo che no! Qualcuno li odierà. La me stessa adolescente li avrebbe odiati, molto più incline com’era a una visione del mondo da “Life sucks”. Quell’unicorno con la scritta “Nothing is impossible” se lo sarebbe mangiato a colazione, pucciato nel caffè nero. E così sarà per molti altri. Ma la cosa importante è che chi sposerà quell’emozione, chi avrà voglia di sentirsi così in quel momento, avrà trovato la sua anima gemella.

 

Marketing

Sales vs. Marketing: la potenza di copywriting e storytelling

In questi giorni di calura estiva e relativa calma, mi sto dedicando a fare un po’ di manutenzione alla mia pagina Facebook. Niente di speciale, ordinaria amministrazione: rimuovere un link rotto, sostituire un video YouTube ormai rimosso, verificare che tutti i post siano ancora in perfetta forma, anche dopo anni. Nel fare questo, mi è capitato di ripubblicare, retrodatandolo, un post di qualche anno fa. Quando si pubblica un post retrodatandolo Facebook lo mostra nuovamente alla propria fanbase, mostrando però la data prescelta anziché quella della effettiva pubblicazione. Risultato? 34 condivisioni e 212 reactions raccolti dal post, con una reach che ha superato di gran lunga il numero di like alla pagina. Il tutto in meno di due ore. Niente male.

Ma di cosa parlava mai questo post che ha riscosso tanto successo? Di Vendite e Marketing, grazie a questa pubblicità firmata Crispin & Porter, agenzia pubblicitaria di Miami che oggi sul sito web aziendale riporta questa bella presentazione: “At Crispin Porter + Bogusky, our mission is to create the most written about, talked about, and outrageously effective work in the world”. Una mission che dovrebbe essere quella di tutti.

Non c’è da stupirsi del fatto che il lavoro di una importante agenzia americana, con gente in gamba e una mission così abbia colto nel segno. Soprattutto perché copy e visual lavorano benissimo insieme per comunicare esattamente il vantaggio del marketing: raccontare storie, far provare emozioni, creare esperienze, coinvolgere. E per farlo deve raccontare una storia, come accade qui. Deve utilizzare quel tanto invocato ma anche tanto bistrattato storytelling che va tanto di moda oggi sui social, ma che è sempre esistito, anche prima che si chiamasse così.

Lungi da me il voler sminuire la nobile arte della vendita, sicuramente essenziale per ogni business. Per come la vedo io, il marketing non è altro che un’altro potente strumento nelle mani dell’azienda. Uno strumento che, se ben utilizzato, supporta alla grande anche il lavoro del venditore. Non voglio quindi parlare della parte “Sales”, ma di quella “Marketing”.

Questo stesso annuncio è riportato anche nel volume “Hey, Whipple, Squeeze This: The Classic Guide to Creating Great Ads” di Luke Sullivan e Edward Boches con il commento “A smart strategy can take the same message and make it work better”. Ed è esattamente questo il lavoro di un copywriter: prendere un messaggio e fare in modo che sia più efficace. È questo che ci dobbiamo sempre ricordare quando creiamo una inserzione Facebook o AdWords, quando scriviamo i testi per un sito web, quando creiamo una landing page: essere efficaci. E per essere efficaci bisogna essere ascoltati, quindi catturare l’attenzione del pubblico. E per catturare l’attenzione del pubblico occorre dire le cose con immaginazione, originalità e freschezza. Così diceva Bill Bernbach (il mad man che cambiò il linguaggio dell’advertising). E così dobbiamo dirci ogni giorno, quando ci mettiamo di fronte a un foglio vuoto per creare un copy.

Ma questo annuncio non parla ai copywriter, ai direttori creativi, a chi si occupa di marketing, agli art director. Loro lo sanno bene cosa fa il marketing. Questo annuncio parla a tutti gli altri: ai dirigenti d’azienda, ai proprietari di piccoli business, a tutti coloro che guardano al marketing come alla prima risorsa da tagliare (“Chi smette di fare pubblicità per risparmiare soldi è come se fermasse l’orologio per risparmiare il tempo” diceva Henry Ford). Questo annuncio parla a chi prima o poi nella vita ha detto a un web designer “Per i testi del sito non c’è problema, me li scrivo io!” (e vi assicuro che tanti buoni web designer ogni volta che sentono questa frase si raccomandano a tutti i santi, perché sanno che il loro lavoro sarà più difficile. Ma non solo questo: sanno anche che il risultato sarà peggiore). Questo annuncio parla a chi almeno una volta nella sua carriera ha detto “Che ci vuole?! Posso farlo anche io” guardando un Social Media Manager, un Copywriter o un Grafico.

Ecco che ci vuole: ci vuole fantasia, esperienza, capacità di sintesi. Ci vogliono tanti tentativi andati male. Ci vogliono tante ore per partorire una frase di poche parole. Ci vuole, in una parola, professionalità. Ci vuole mestiere. E non importa se siete convinti di saper scrivere in un italiano corretto, se siete stati autori di un libro o se per lavoro scrivete ogni giorno manuali tecnici. È un altro lavoro.

Perché, come dice Pasquale Barbella: “A questo punto vorrete forse sapere cosa intendiamo per “saper scrivere”. È chiaro che chiunque sia dotato di medie capacità riesce, senza eccessivi sforzi, a tenere la penna in mano. Con qualche anno di scuola e assidue letture, si può addirittura imparare a padroneggiare i punti e le virgole con una certa abilità. Saper scrivere, comunque, è un’altra cosa. Vuol dire ‘riuscire a farsi leggere’.”